29 marzo 2011

Elaborating a loss

It is always strange to realize that somebody has passed away, that literally a person has departed from your life for ever and that you will never see him or her again. It is even more weird when this happens to somebody that you knew only up to a certain point -- an acquaintance, if language can come to the rescue in trying to define somebody you couldn't say you were properly friends with, but whom you would have been more than happy to know more of, if only things had gone in a different way in life. Right, if only ...

During the past four years in Lugano there have been many people that ended up into this category and who are still there; I should really blame my shyness and inanity rather than any metaphysical agent like destiny or fate if I never went further than a few random chats over a beer or during the lunch break with all these fellows, but I guess I am a bit too severe with my social skill, which in the end -- let's admit it -- are pretty good for a PhD student in computer science -- a «nerd», as many in the big world would call me, a «geek» if you are a nerd yourself and you are discussing about the differences between the two terms on some internet forum. So no big remorse if I am not socially bulimic; I don't pretend this to be such a big confession for most of the people reading it anyway.

It is death that, however, comes and turns up everything, suddenly making all so complicate to grasp and accept. Leaving you to wonder how much you knew this person, how and in what way he or she mattered to you. I received news of the tragic death of Adina, a fellow PhD student (actually, PhD candidate) at my department, yesterday afternoon, while I was listening to a song by Dead Can Dance called «De Profundis» (I guess there is such thing as Destiny, at least for the sake of having something to hold accountable for for all the irony in things like this). I was in the middle of the lazy Sunday I had been longing for for the past five days -- five long weekdays -- and I was also «celebrating» the «mission» of having seen the exhibition of Giovanni Segantini's paintings in Basel the day before (that I go to the exhibition of the «painter of the Alps» and a friend of mine dies in a hiking accident is another point to the existence of our friend the Destiny).

It was a devastating news. Of course being in Zurich and not anymore in Lugano, in the social environment we both belonged to, has helped in fighting off the gloomyness (another time for the story of how I did not cry at the news of my grandmother's death when I was a teenager), but even in this sober mood things don't get easier to understand and elaborate. One thing is clear though: Adina was a unique person and she will be greatly missed. I don't think there is other message to take home here, and to anybody who accidentally got to spend five minutes reading this I deeply apologize: sometimes you just need to put thought in written form in the hope they will look clearer later. I'll try to read this some time in the future and see if the exercise has helped.

In the meanwhile: goodbye friend.

28 marzo 2011

RIP

Giovanni Segantini, Trittico delle Alpi: la morte
St. Moritz, Museo Segantini

In ricordo di Adina, che amava le montagne.

26 marzo 2011

È Sabato /reprise

È sabato mattina, fuori è una bella giornata, e tu stai giocando a Farmville. Forse dovresti leggere questo.


Per quel che mi riguarda, io me ne vado a Basilea a vedere la mostra di Segantini.

È Sabato

22 marzo 2011

Aiuto! Sono diventato un neocon?! /2

Sempre sull'argomento Giovanni Fontana ha scritto un bel post sulle ragioni dell'intervento in Libia. Tra le altre cose, quando scrive:
Infine, la gente di Bengasi ha già manifestato (e oggi ha ribadito) come il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli sia dalla parte delle persone – che esultavano in piazza per  il passaggio della risoluzione – e contro il despota. Come spesso succede, rispettare la sovranità (cioè la sua inviolabilità) di un luogo significa rispettare chi comanda, spesso attraverso sangue e terrore, in quel luogo.
inevitabilmente ho pensato alle ciance dei leghisti sull'autodeterminazione dei popoli ed al cinismo estremo presente nelle dichiarazioni di Bossi e Maroni. Per la serie, sosteniamo l'autodeterminazione di tutti e soli quei popoli che si trovano sulla sponda nord del Mediterraneo?

19 marzo 2011

Aiuto! Sono diventato un neocon?!

Devo dire che fa un certo effetto, a sette anni di distanza dall'Irak, a trovarsi dalla parte di quelli che appoggiano un intervento militare atto a sbolognare un dittatore.

17 marzo 2011

Una scossa simile

Il TG1 ha appena mandato in onda un servizio su un laboratorio, mi pare all'università di Padova, in cui si simulano i terremoti per capire i danni alle strutture. Dalla piattaforma usata per riprodurre le scosse telluriche, la giornalista dice che «in questo momento» stanno simulando la scossa del Giappone, che è stata «simile ma quattro volte più lunga rispetto a quella dell'Aquila».

Allora.

La scossa dell'Aquila ha avuto magnitudo 6,3 Mw mentre quella del Giappone 9 Mw. L'unità di misura Mw misura la magnitudo sulla scala del momento sismico, che è la scala che ha sostituito quella di Richter nella letteratura scientifica. Ora, una differenza di 1 Mw è pari, in termini di energia sprigionata, ad un rapporto di circa 30:1. Questo significa che un terremoto di magnitudo 5 Mw è circa 30 volte più potente di uno di magnitudo 4 Mw, e così via. In base a queste considerazioni, il terremoto giapponese è stato circa 11'200 volte più potente di quello dell'Aquila.

Facciamo un altro calcolo. Questa volta contabilità mortuaria spicciola. Secondo Wikipedia, il terremoto dell'Aquila ha fatto 308 morti. La stima più recente dei morti del terremoto Giapponese, sempre secondo Wikipedia — ma la versione inglese, che è più aggiornata — è di 5'321 persone. Adesso — e qui la contabilità mortuaria diventa particolarmente fastidiosa a farsi — il rapporto è di 17:1. Se mettiamo anche le 9'329 persone dichiarante “missing” dalle autorità, arriviamo a circa 48:1.

A fronte di un sisma 11'000 volte più potente.

Per carità, è ovvio che un'energia raddoppiata non deve necessariamente tradursi nel doppio dei morti; oltretutto il terremoto a l'Aquila è avvenuto nel cuore della notte, quindi cogliendo la popolazione nel sonno. Dall'altra parte l'area in Giappone è stata molto più estesa; si è generata un'onda di Tsunami, che probabilmente è da ritenere come la vera responsabile della maggior parte della distruzione, eccetera. Insomma, è ovvio che questo ragionamento non ha alcuna pretesa d'essere una stima seria e rigorosa degli effetti che un sisma ha sulla popolazione.

Ma anche così, come diavolo si fa a dire simile?

#009246, #F1F2F1 e #CE2B37

così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori,
sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.

(Divina Commedia, Purgatorio, canto XXX, versi 28/33)

13 marzo 2011

La storia d'Italia in un museo piccolo piccolo

Passeggiare per Roma regala sempre delle piacevoli sorprese. Uno dei posti più interessanti in cui mi sono imbattuto durante l'ultimo soggiorno nella capitale è il Mucrì, il Museo Criminologico del dipartimento di Amministrazione Giudiziaria del Ministero della Giustizia — alla faccia del nome buffo con l'accento sulla i. Il Mucrì si trova in via del Gonfalone, una viuzzia traversa a via Giulia, all'altezza della Direzione Nazionale Antimafia.

Il piano terreno è dedicato agli strumenti di tortura del passato. In mostra ci sono simpatici oggetti come questo qui:

Cintura di castità.

Bisogna dire che l'ergonomia è una scienza più antica di quanto lo si pensa solitamente. Su questo livello il pezzo forte è sicuramente la mantella di Mastro Titta, ma anche le ghigliottine fanno la loro degna figura; del resto come si fa a disprezzare un marchingegno il cui scopo è tagliare teste in maniera rapida, efficiente e moderna?

I piani superiori contengono cimeli dedicati a specifici fatti di cronaca del nostro paese. Alcune pezzi hanno un valore storico fortissimo, come la pistola con cui l'anarchico Gaetano Bresci assassinò Umberto I, detto il “re mitraglia” per via del modo di affrontare le rivolte di popolo:

Rivoltella statunitense “Harrington & Richardson”
cal. 38 S & W (9 mm) a cinque colpi.
Arma utilizzata per uccidere Umberto I.

Gaetano Bresci fu condannato al carcere a vita per regicidio; fu trovato morto impiccato nella sua cella meno di un anno dopo dalla sua incarcerazione. Le circostanze della sua morte sono tuttora misteriose e molti pensano che fu piuttosto vittima di un pestaggio troppo brutale da parte delle guardie carcerarie. Il sito del Mucrì glissa su questo dettaglio; è in casi come questo che non posso fare a meno di pensare alla verità presente nella battuta di Boris 3 sulle guerre puniche.

Le ultime stanze sono dedicate alla cronaca nera del dopoguerra: la saponificatrice di Correggio, la decapitata di Castelgandolfo, eccetera. C'è da dire che ai tempi i giornalisti di cronaca nera avessero più tatto e humour di adesso. La moda di chiamare le vicende col nome delle vittime (“il piccolo Tommy”, “Yara”) per mostrare vicinanza con esse mi ha sempre dato fastidio per il suo viscidume. Sarà che sono piccolo-borghese dentro.

Vedere la vetrina dedicata al colpo di via Osoppo mi ha entusiasmato. Ci sono persino le tute usate dai banditi il cui ritrovamento permise, dopo settimane di caccia all'uomo in tutto l'alto Italia, di catturare i malviventi.

La rapina di via Osoppo in Milano.

Il motivo del mio entusiasmo è che conoscevo già la storia della rapina di via Osoppo per via di un documentario molto interessante intitolato “Malamilano”, che parla della transizione della criminalità meneghina alla fine degli anni '50 dalla malavita del sottoproletariato urbano, la cosiddetta ligèra, al crimine organizzato vero e proprio. La rapina di via Osoppo fu uno degli eventi principali di quel periodo: il colpo fece molto scalpore per il modus operandi dei banditi, che usarono un'arsenale pesante, e per l'entità del bottino, 114 milioni di lire. Alla proiezione del documentario erano presenti due membri della banda. Avevano finito di scontare la loro pena da tempo e a quel tempo erano dei semplici pensionati. Uno di loro, Luciano de Maria, è morto l'anno scorso. Uno può leggere Fenoglio e Vittorini quanto gli pare, e lo stesso non capirà mai cosa devono essere stati quegli anni. Io me ne sono reso conto quella sera, ascoltando questi due vecchini parlare della loro infanzia in mezzo alle macerie della guerra.

Insomma, andate al Mucrì e vedrete un sacco di storia d'Italia.

1 marzo 2011

Piccole gioie

Vedere Franco Frattini sbertucciato da un giornalista di Al Jazeera English.