23 giugno 2011

10.6.40

Have just heard, though it is not in the papers, that Italy has declared war…. [...]
This afternoon I remembered very vividly that incident with the taxi-driver in Paris in 1936, and was going to have written something about it in this diary. But now I feel so saddened that I can’t write it. Everything is disintegrating. It makes me writhe to be writing book-reviews etc. at such a time, and even angers me that such time-wasting should still be permitted. The interview at the War Office on Saturday may come to something, if I am clever at faking my way past the doctor. If once in the army, I know by the analogy of the Spanish war that I shall cease to care about public events. At present I feel as I felt in 1936 when the Fascists were closing in on Madrid, only far worse. But I will write about the taxi driver some time.
George Orwell. The Orwell Diaries. [*]

19 giugno 2011

«Boia»

Mi immagino cosa avrà pensato Bossi quando i suoi lo bloccano la prima volta al grido di «secessione, secessione». Lui si stava scagliando contro lo scandalo di qualcuno che percepisce «quindici mensilità» — un parlamentare di Roma ladrona? — e invece alla folla non frega nulla di queste quisquilie. Loro vanno ai fondamenti: «secessione, secessione».

Guardatelo attentamente, a questo punto. Io me lo immagino che pensi: «quanto sono scemi questi. Sì, va bene, facciamo la secessione, e poi?? Sul serio queste persone vogliono farci rinunciare a tutto quello che abbiamo conquistato così faticosamente a Roma? Le fondazioni, il secondo canale della Rai, i posti nei CDA delle banche, le municipalizzate. Che fine farebbero tutte queste cose se facessimo la secessione?».

Si vede che è interdetto, eppure riprende a parlare. Grugnisce. Stacco su Maroni, che controlla il suo iPhone. «Questo è il risultato che si otterrà se si va vanti ad usare il Nord come… come una—come un somaro… per trascinare tutta una macchina costosissima», pausa, «e che non ha possibilità di trovare una soluzione. Non penso che si possa applicare il trib(?) al federalismo fiscale» poi altro farfugliare. E poi, «penso che… i numeri sono tali… che non si può. Però.» Altra pausa. Qualcuno grida qualcosa, dal basso. Bossi risponde: «Boia.». Altro rumoreggiare. «Ci sono cose che…». La camera stacca sulla folla. Riparte il «secessione, secessione», e rapidamente diventa assordante. Non lo si vede, ma nel frattempo sul palco è salito in soccorso Calderoli; il capo ha perso il controllo della situazione. Un paio di «Padania Libera» riescono a togliere il senatùr dall'impaccio.

Si dice tanto che tra Bossi e il suo popolo vi sia una totale empatia, che riesca a fiutare il sentire della sua gente meglio del più fine antropologo. Sarà. A me quello di Pontida ha ricordato l'ultimo discorso di Ceausescu.

16 giugno 2011

È stata dittatura?

Basta fermarsi a ragionare un poco per capire che è stupido cedere alla tentazione di affermare che il ventennio Berlusconiano abbia visto l'affermarsi di una dittatura totalitaria in Italia: quando si tratta di dittature, gli incubi che si hanno a sinistra, curiosamente, sono speculari a quelli che si hanno a destra, e così come giudichiamo puerili le tirate di Berlusconi sulla dittatura dei giudici comunisti, simmetricamente dovremmo valutare le affermazioni su un ipotetico regime neo-fascista.

Eppure qualcosa di anormale ci deve essere stato, se s'è riuscito a produrre un scollamento dalla realtà talmente eclatante da portare tante persone a pensare che un personaggio come Renato Brunetta fosse davvero un castigatore dei costumi, un novello Savonarola mistico della produttività aziendale.

Di colpo ci si rende conto che colui il quale propugnava l'avvento di un popolo dagli occhi azzurri e i capelli chiari è un ometto basso e dai capelli scuri; il meccanismo si rompe e quella che è stata, in fondo, un'enorme allucinazione collettiva può finalmente diventare materiale per i manuali di psicologia sociale.

9 giugno 2011

Barbara Spinelli


Scriveva, a proposito del caso Battisti, nel Gennaio di quest'anno:
Quel che si vuol ignorare è come funziona la giustizia in Italia, la sua indipendenza ben più solida che in Francia, la lotta che i magistrati conducono contro la mafia, la corruzione, la politica ridotta a lucro privato. È un'ignoranza non ingenua ma attivisticamente coltivata. Ebbe forme analoghe anche nel '68: un '68 che i francesi, più saggi, hanno saputo frenare prima che degenerasse in terrorismo. Essendosi tuttavia fermati in tempo, nulla sanno dei suoi baratri, del valore della legalità. Non a caso parlano lo stesso linguaggio di tanti marxisti finiti con Berlusconi. Lo spirito libertario del '68, lo hanno stravolto facendosi libertini.
DSK docet. E ancora:
Persino Gesù faticava, con gli stupidi. C'è un suo detto islamico, citato da Sabino Chialà, che confessa: "Gli storpi li ho guariti, i ciechi pure. Con gli stupidi non sono riuscito" (I detti islamici di Gesù, Mondadori).
Applausi.

8 giugno 2011

Due volumi

Questi tizi qui hanno tutta la mia comprensione. Io una volta avevo iniziato a leggere «Addio alle Armi» in edizione tascabile Mondadori in 2 volumi partendo dal secondo e mi aveva colpito molto la tecnica di questo Hemingway, che ti cala nel mezzo dell'azione senza introdurre i personaggi. Bello.

6 giugno 2011

Tra parentesi

Io a questo referendum non andrò a votare — e lo dico con la stessa vergogna che proverei se avessi rubato le caramelle a un bambino e la madre mi sgamasse. Complicazioni personali, mancanza di soldi, tempo; sbadataggine; non mi sono iscritto all'AIRE per tempo per cui è andata anche l'opzione del voto per corrispondenza. Insomma, non prendetemi ad esempio, anzi, irridetemi pure. Sputiate sul selciato, qualora ci incrociassimo per strada. E mi si squadri malamente: sono stato un cattivo cittadino e tutto questo me lo merito.

Detto questo, chi l'ha detto che è difficile farsi un'idea sui quesiti referendari? Io per esempio, dopo aver letto l'ottimo articolo di Andrea Boitani e Antonio Massarutto su La Voce, ho cambiato completamente idea ed ho deciso che voterò (nella mia immaginazione) «no» ai due quesiti sull'acqua. Voterò (virtualmente) «sì» su nucleare e legittimo impedimento, ma tanto all'atto pratico l'abrogazione di entrambi i provvedimenti sarà poco più che un atto simbolico (ma anche i gesti simbolici contano, ah, se contano!)

Ad ogni modo, non è mia intenzione farvi cambiare idea sul referendum (nel senso del votare “No”, non dell'astensione): penso infatti che questo referendum a) otterà il quorum e b) vedrà tutti e 4 i quesiti accettati, per cui c'è poco da mettersi a fare campagna per il “No”. La storia (distorta, vedere link sopra) dell'acqua in mano ai privati (totalmente fasulla, vedere link sopra) tocca quelle corde fondamentali del cittadino che porta anche i tipi come Magalli a schierarsi, e si schierano i Magalli vuol dire che ci sarà un consenso bulgaro per il “Sì”.

Lo so, dovrei essere triste che nel mio paese una storia priva di fondamento si sia diffusa pandemicamente (visto che contagia sia le bestie di sinistra che quelle di destra) e ora ci stia portando a prendere una pessima idea in fatto di politiche pubbliche, ma lo stesso sono contento, perché i referendum abrogativi sono uno dei pochi strumenti di partecipazione diretta che abbiamo per deliberare su questioni di portata nazionale, e vale la pena che i cittadini riacquistino fiducia in esso, visto che da 24 anni non si riesce a farne andare in porto uno.

Tra parentesi, ma perché tutti vogliono votare “Sì”?

3 giugno 2011

Il partito-azienda

Nell'immaginario collettivo Silvio Berlusconi è sempre piaciuto per via della sua figura d'imprenditore. Nel 1994 gli italiani lo votarono abbindolati dall'idea nella speranza di tramutare lo Stato in un grande e moderna azienda come la Mediaset di allora. Qualcosa di vero ci doveva pur essere, se persino il sottoscritto in un tema scolastico affermò che S.B. costituiva per lui un esempio da seguire nella vita (inciso: si era alle scuole elementari — seconda metà degli anni '80 — e hai voglia a convincere un bambino che non fosse così. Stupiti? Se per questo sono stato anche cattolico credente…).

A vent'anni di distanza dalla quell'entrata in politica possiamo sicuramente dire che la cosa non corrispondesse a realtà, e la cosa si dovrebbe chiudere qui, tuttavia non ho potuto fare a meno di pensare, ascoltando i ragionevolissimi punti sollevati da Alessandra Mussolini (sic!) nell'intervista a Radio Radicale che il buon Malvino condivide con noi, che forse bisognerebbe invertire il precedente con il conseguente e rivedere l'attività dell'imprenditore alla luce di quella del politico. E se è vero che il PDL si è appena munito di una figura di cui non v'è traccia alcuna nel proprio statuto, beh forse bisognerebbe cominciare a rivedere anche quel mito lì.