19 giugno 2011

«Boia»

Mi immagino cosa avrà pensato Bossi quando i suoi lo bloccano la prima volta al grido di «secessione, secessione». Lui si stava scagliando contro lo scandalo di qualcuno che percepisce «quindici mensilità» — un parlamentare di Roma ladrona? — e invece alla folla non frega nulla di queste quisquilie. Loro vanno ai fondamenti: «secessione, secessione».

Guardatelo attentamente, a questo punto. Io me lo immagino che pensi: «quanto sono scemi questi. Sì, va bene, facciamo la secessione, e poi?? Sul serio queste persone vogliono farci rinunciare a tutto quello che abbiamo conquistato così faticosamente a Roma? Le fondazioni, il secondo canale della Rai, i posti nei CDA delle banche, le municipalizzate. Che fine farebbero tutte queste cose se facessimo la secessione?».

Si vede che è interdetto, eppure riprende a parlare. Grugnisce. Stacco su Maroni, che controlla il suo iPhone. «Questo è il risultato che si otterrà se si va vanti ad usare il Nord come… come una—come un somaro… per trascinare tutta una macchina costosissima», pausa, «e che non ha possibilità di trovare una soluzione. Non penso che si possa applicare il trib(?) al federalismo fiscale» poi altro farfugliare. E poi, «penso che… i numeri sono tali… che non si può. Però.» Altra pausa. Qualcuno grida qualcosa, dal basso. Bossi risponde: «Boia.». Altro rumoreggiare. «Ci sono cose che…». La camera stacca sulla folla. Riparte il «secessione, secessione», e rapidamente diventa assordante. Non lo si vede, ma nel frattempo sul palco è salito in soccorso Calderoli; il capo ha perso il controllo della situazione. Un paio di «Padania Libera» riescono a togliere il senatùr dall'impaccio.

Si dice tanto che tra Bossi e il suo popolo vi sia una totale empatia, che riesca a fiutare il sentire della sua gente meglio del più fine antropologo. Sarà. A me quello di Pontida ha ricordato l'ultimo discorso di Ceausescu.