13 marzo 2011

La storia d'Italia in un museo piccolo piccolo

Passeggiare per Roma regala sempre delle piacevoli sorprese. Uno dei posti più interessanti in cui mi sono imbattuto durante l'ultimo soggiorno nella capitale è il Mucrì, il Museo Criminologico del dipartimento di Amministrazione Giudiziaria del Ministero della Giustizia — alla faccia del nome buffo con l'accento sulla i. Il Mucrì si trova in via del Gonfalone, una viuzzia traversa a via Giulia, all'altezza della Direzione Nazionale Antimafia.

Il piano terreno è dedicato agli strumenti di tortura del passato. In mostra ci sono simpatici oggetti come questo qui:

Cintura di castità.

Bisogna dire che l'ergonomia è una scienza più antica di quanto lo si pensa solitamente. Su questo livello il pezzo forte è sicuramente la mantella di Mastro Titta, ma anche le ghigliottine fanno la loro degna figura; del resto come si fa a disprezzare un marchingegno il cui scopo è tagliare teste in maniera rapida, efficiente e moderna?

I piani superiori contengono cimeli dedicati a specifici fatti di cronaca del nostro paese. Alcune pezzi hanno un valore storico fortissimo, come la pistola con cui l'anarchico Gaetano Bresci assassinò Umberto I, detto il “re mitraglia” per via del modo di affrontare le rivolte di popolo:

Rivoltella statunitense “Harrington & Richardson”
cal. 38 S & W (9 mm) a cinque colpi.
Arma utilizzata per uccidere Umberto I.

Gaetano Bresci fu condannato al carcere a vita per regicidio; fu trovato morto impiccato nella sua cella meno di un anno dopo dalla sua incarcerazione. Le circostanze della sua morte sono tuttora misteriose e molti pensano che fu piuttosto vittima di un pestaggio troppo brutale da parte delle guardie carcerarie. Il sito del Mucrì glissa su questo dettaglio; è in casi come questo che non posso fare a meno di pensare alla verità presente nella battuta di Boris 3 sulle guerre puniche.

Le ultime stanze sono dedicate alla cronaca nera del dopoguerra: la saponificatrice di Correggio, la decapitata di Castelgandolfo, eccetera. C'è da dire che ai tempi i giornalisti di cronaca nera avessero più tatto e humour di adesso. La moda di chiamare le vicende col nome delle vittime (“il piccolo Tommy”, “Yara”) per mostrare vicinanza con esse mi ha sempre dato fastidio per il suo viscidume. Sarà che sono piccolo-borghese dentro.

Vedere la vetrina dedicata al colpo di via Osoppo mi ha entusiasmato. Ci sono persino le tute usate dai banditi il cui ritrovamento permise, dopo settimane di caccia all'uomo in tutto l'alto Italia, di catturare i malviventi.

La rapina di via Osoppo in Milano.

Il motivo del mio entusiasmo è che conoscevo già la storia della rapina di via Osoppo per via di un documentario molto interessante intitolato “Malamilano”, che parla della transizione della criminalità meneghina alla fine degli anni '50 dalla malavita del sottoproletariato urbano, la cosiddetta ligèra, al crimine organizzato vero e proprio. La rapina di via Osoppo fu uno degli eventi principali di quel periodo: il colpo fece molto scalpore per il modus operandi dei banditi, che usarono un'arsenale pesante, e per l'entità del bottino, 114 milioni di lire. Alla proiezione del documentario erano presenti due membri della banda. Avevano finito di scontare la loro pena da tempo e a quel tempo erano dei semplici pensionati. Uno di loro, Luciano de Maria, è morto l'anno scorso. Uno può leggere Fenoglio e Vittorini quanto gli pare, e lo stesso non capirà mai cosa devono essere stati quegli anni. Io me ne sono reso conto quella sera, ascoltando questi due vecchini parlare della loro infanzia in mezzo alle macerie della guerra.

Insomma, andate al Mucrì e vedrete un sacco di storia d'Italia.