3 maggio 2011

Tentando di lavorare

In societies where modern conditions of production prevail, all of life presents itself as an immense accumulation of spectacles. Everything that was directly lived has moved away into a representation. 
Guy Debord. La Società dello Spettacolo (1967)

Le nozze reali; la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II; l'uccisione di Bin Laden. In meno di 4 giorni in giro per il mondo ci sono stati tre grandi eventi di portata storica. Io, nel frattempo, tentavo di lavorare.

La Storia si compie sotto i nostri occhi -- almeno stando al commentare più superficiale. A guardar bene, però, c'è anche un'altra caratteristica che questi tre eventi hanno in comune. In tutti e tre i casi delle masse -- i sudditi della Corona britannica, la Santa Romana Chiesa, il popolo degli Stati Uniti d'America -- si sono radunate attorno ad un ideale identitario e trascendente, in cui il singolo può annullare la propria identità e vivere una sorta di comunione con il resto dei suoi pari. Chi più seriamente e chi meno, ovviamente. “Non c'è bisogno di fare i guasta feste alle nozze reali solo perché siamo di sinistra”, sentenziava sornione il Guardian appena tre giorni fa, e io non potevo e posso che essere più d'accordo. “Il matrimonio reale è parte del nostro patrimonio condiviso, un patrimonio posseduto tanto dalla sinistra che dalla destra”. O più semplicemente, come la metteva una signora intervistata alla BBC, “è bello divertirsi e farlo da britannici“. Lo spettacolo è accettato in quanto tale. E accettato ben volentieri: non siamo realisti, siamo Britannici, e la corona ci definisce in quanto nazione. Queste persone sono le stesse che si diranno disgustate dalla Monarchia al primo scandalo reale; ora gioiscono, ma non lo fanno per ipocrisia. Con le loro tasse pagano la casa reale per ricevere un servizio, quello d'impersonare un passato glorioso e importante, e così come ci si indignerà al primo scandalo matrimoniale, così ci si rallegrerà -- ci si deve rallegrare -- in occasione dei lieti eventi, come per esempio un matrimonio.

Dell'orgia di devozione mortuaria e mortifera del Primo Maggio, tra cardinali che spirano di vecchiaia solo per l'occasione, reliquie della cui provenienza è meglio tacere, dittatori sanguinari che si scambiano un segno di pace, pellegrini che, come bestie idrofobe, impazziscono al suono delle sirene di un'ambulanza, s'è già parlato a sufficienza.  La massa abbraccia lo spettacolo in quanto tale anche in questo caso, ma non posso fare a meno di trovarlo schifosamente ipocrita. Quella cattolica è una religione all'interno dei cui dogmi la Chiesa ha posto essa stessa quale organizzazione al di sopra della storia. Non v'è alcuna legittimità in un processo di beatificazione (e che presto sarà di canonizzazione) che non provenga dalla volontà del gregge; ma allo stesso tempo il gregge richiede un processo per rivestire di legittimità l'atto arbitrario che si fa nel dire che Wojytyla è Santo. Trovare un Parkinson che è scomparso miracolosamente è questione secondaria in questi casi. Con la morte di Bin Laden, poi, c'è già chi dice d'aver trovato il prossimo prodigio.

E poi c'è Bin Laden, appunto. È stata la lettura di questo pezzo di Glenn Greenwald che m'ha fatto notare la somiglianza con gli altri due casi:
And then there's the notion that America has once again proved its greatness and preeminence by killing bin Laden. Americans are marching in the street celebrating with a sense of national pride. When is the last time that happened? It seems telling that hunting someone down and killing them is one of the few things that still produce these feelings of nationalistic unity.
Qui forse la cosa si fa agghiacciante, poiché lo spettacolo è accettato nell'illusione che esso non sia tale. E quando leggi cose del genere, capisci che ci aspettano tempi ancor più bui, e che un morto in più non ci renderà più sicuri di prima.